Le parole possono essere il mezzo per attivare processi intuitivi, possono suscitare o mitigare emozioni come la paura, il dolore, la gioia e la tristezza, possono aprire o chiudere il campo di possibilità. Il processo di Coaching ci permette di prendere consapevolezza dell’importanza delle parole, di sceglierle con cura e responsabilità per aiutare noi stessi e gli altri ad essere la versione migliore di noi.
di Filomena Del Prete
Sarà capitato a tanti di chiedersi cos’è che spinge l’uomo a scegliere le parole, quale frase lo emoziona quando legge un libro o guarda un film? Quali sono i motori che stimolano determinate risposte (cognitive e/o emotive)? Cosa si cela dietro la sempre-verde “non ci capiamo” anche se parliamo la stessa lingua?
Eppure, a pensarci bene, la comunicazione è un processo così elementare ed innato, no? Tutti comunichiamo, anzi “non si può non comunicare”[1]. È un processo talmente elementare ed innato che, paradossalmente, spesso viene sottovalutato, relegato al campo “noto” per il semplice fatto che conosciamo la sintassi e le regole grammaticali.
Cos’altro dovrebbe servire per comunicare?
Nella società attuale, globalizzata ed iper-connessa, in cui siamo capaci di interagire istantaneamente con più persone in ogni angolo del pianeta, questa domanda ci chiede di riconsiderare le nostre idee sul significato autentico della comunicazione interpersonale. E di ciò di cui è fatta la comunicazione, le parole.
LINGUAGGIO E BIOLOGIA: COME LE PAROLE INFLUENZANO E MODIFICANO IL NOSTRO CERVELLO
Che le parole abbiano il potere di incidere sulle nostre emozioni e sull’evoluzione della nostra vita è confermato anche dall’osservazione empirica e scientifica.
La conferma di una relazione tra linguaggio e funzioni cerebrali risale a circa due secoli fa, da quando si è osservato che le lesioni cerebrali influenzano negativamente la capacità di parlare, scrivere e comprendere[2].
D’altra parte, ciò che ora chiamiamo scienza e osservazione empirica grazie a strumenti come elettroencefalogramma, risonanza magnetica ed altro, è stato intuito fin dalla notte dei tempi.
Storia, letteratura, religione, antropologia e, infine, neuroscienze, ci raccontano come le parole hanno avuto e continuano a mantenere – con le dovute differenze interpretative nel corso dei millenni – un potere dalle mille sfaccettature.
Dopotutto, in principio era il “verbo” (Giovanni 1, 1-18), creatore del cielo e della terra; gli oracoli delle divinità greche si manifestavano attraverso le parole che decidevano della vita e della morte; nella tradizione mitologica indiana, la parola è la personificazione stessa di una divinità, la Dea Vac[3]. O, ancora, pensiamo ai mantra, alle preghiere, ai canti religiosi e spirituali.
Tradizioni culturali di tutto il mondo condividono una credenza di base, che le parole siano strumento attraverso il quale poter raggiungere la salvezza, la via da percorrere per re-immaginare e ri-creare la realtà[4].
Ad oggi, la scienza accerta che tanti e complessi sono i cambiamenti indotti nel cervello dalle parole e, infatti, molte sono le testimonianze di un recente ricorso a canti e tecniche di meditazione nella medicina occidentale, ad esempio nel trattamento del dolore di pazienti affetti da neoplasie.[5]
IL POTERE TRASFORMATIVO E GENERATIVO DELLE PAROLE
Ecco perché le parole assumono un ruolo fondamentale per la nostra comprensione di noi stessi e del mondo. Esse sono il mezzo attraverso il quale rappresentiamo l’esperienza e, in qualche modo, la incorniciamo in quella che poi diventa la nostra visione del mondo.
Ma in che modo posso entrare in una relazione più profonda con le parole e allenarmi ad adoperarle in modo positivo e costruttivo per me?
In che modo posso beneficiare di tale potere in maniera attiva e consapevole?
In un percorso di crescita personale, come ad esempio il Coaching, l’atto di proferire, nominare, dare un nome non solo alle cose ma soprattutto alle emozioni, ai sentimenti e ai moti dell’animo, ai pensieri, ci permette di rendere sostanza ciò che prima, magari, ci sfuggiva (come un alone informe che ci pervade ma di cui non riconosciamo inizio, fine e composizione) e per questo ci spaventava.
In questo consiste l’insight, una comprensione improvvisa, illuminante e liberatoria di un elemento. L’atto stesso del comprendere è emblematico e rappresentativo di ciò che avviene grazie all’uso delle parole: dal latino, composto di cum e prehendere – cum prehendo, ovvero “afferro insieme cose che stanno dinanzi a me, intendere appieno”[6]. Le afferro perché si concretizzano e sono capace, quindi, di riconoscerle e conferire ad esse un nome, una definizione.
L’atto della parola, poi, è liberatorio nel senso che ci libera dalla paura dell’ignoto.
Dopotutto, l’evoluzione delle scienze e della conoscenza nasce dal bisogno, desiderio, volontà di ridurre il campo dell’ignoto e della paura; nasce dal bisogno di trovare risposte alle domande, cioè parole.
Il noto, d’altra parte, non spaventa. Il noto è sfidante ma è una sfida ad armi pari, è un nemico leale, non subdolo, che si mostra a noi e ci mette la faccia – dal momento in cui lo nomino e lo definisco, egli si mostra per quello che è. Sta a noi accettarlo: so chi sei, ora ti “vedo” e ti affronto.
Indipendentemente dall’esito del confronto, questo atto sposta l’asse verso una scelta tutta mia, una assunzione di responsabilità: dal momento in cui nomino e realizzo (nell’accezione di rendere reale e concreto) un elemento, sta a me poi decidere di andare oltre il semplice prenderne atto, sta a me la scelta di costruire una relazione con questo elemento ora noto, delinearne i contorni e diventarne in qualche modo padrona.
Il terreno di scontro passa dall’emotivo al razionale, ci aiuta a ragionare con noi stessi e, più parole conosciamo, più ricco e profondo (ossia pieno di rimandi e significati) diventa il ragionamento e, di conseguenza, la consapevolezza.
Ulteriore aspetto molto importante di questo processo, soprattutto all’interno di un percorso di Coaching, consiste nel fatto che il nominare mi permette di riconoscere se quell’elemento emerso, e che ora mi sta di fronte, è mio o no, se cioè mi appartiene o è frutto di influenze esterne (eterodiretto): questo processo mi facilita la scelta di tenerlo o meno, ma a questo punto la scelta diventa consapevole, mia e di nessun altro.
Mia la scelta, mia la responsabilità e il potere di gestirlo.
Ma a cosa serve appropriarsi di questa scelta?
Serve a riscrivere il proprio ruolo, attuando l’evoluzione da comparse a protagonisti della propria vita. Serve, ad esempio, a riconoscere le circostanze esterne per quelle che sono: esterne appunto, non una guida ineluttabile del nostro comportamento.
Perché noi siamo ciò che riconosciamo e pronunciamo come nostro, siamo il nostro desiderio; noi siamo ciò che ci muove verso quel desiderio; noi siamo ciò che agiamo per raggiungerlo.
E tu, come nomini il tuo desiderio?
[1] Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Roma (1971), pp 40 -107.
[2] La scoperta che le lesioni cerebrali influenzano la capacità di parlare risale al XIX secolo, grazie al lavoro del neurologo francese Paul Broca. Nel 1861, Broca studiò il caso di un paziente, soprannominato “Tan” a causa dell’unica sillaba che riusciva a pronunciare. Dopo la morte del paziente, Broca esaminò il cervello e identificò una lesione nella parte posteriore del lobo frontale sinistro. Questa area, ora conosciuta come “area di Broca,” è associata alla produzione del linguaggio.
Successivamente, nel 1874, Carl Wernicke, un neurologo tedesco, descrisse un’altra regione del cervello, situata nel lobo temporale sinistro, che, se danneggiata, compromette la comprensione del linguaggio. Questa area è nota come “area di Wernicke.”
[3] Muntoni C., Priori A., Abracadabra. Il potere curativo delle parole tra mito, tradizioni e neuroscienze, Milano (2022).
[4] Idem, pag. 97.
[5] Studi basati sulla risonanza magnetica hanno mostrato che i sacerdoti che memorizzano e recitano i canti vedici possiedono una corteccia cerebrale più spessa nelle aree prefrontali di sinistra e temporali di destra rispetto ai membri del gruppo di controllo che non sono sacerdoti. Questo risultato ha portato i ricercatori a concludere che la recitazione verbale può causare cambiamenti diretti nella struttura del cervello.
Sugli effetti della meditazione e dei canti sul cervello si veda:
– Kalamangalam GP, Ellmore TM, Focal cortical thickness correlates of exceptional memory training in vedic priests, “Front Hum Neurosci” 2014; 8:833.
– Padam A, Sharma N., Sastri OSKS et al, Effects of listening to vedic chants and indian classical instrumental music on patients undergoing upper gastrointestinal endoscopy: a randomized controlled trial, “Indian Journal of Psychiatry” 2017, 59(2):214-218.
Brandmeyer T., Delorme A., Reduced mind wandering in experienced meditators and associated EEG correlates, “Exp Brain Res” (2018)0236:2519-2528.
Sui meccanismi cerebrali del linguaggio e su come le parole attivano reti neuronali associate ad emozioni e stati d’animo:
– Hagoort P., The neurobiology beyond single word processing, “Science” 2019; 366:55-58.
– Nakamura K., Inomata T., Uni A., Left amygdala regulates the cerebral reading network during fast emotion word processing, “Front Psycol.” 2020; 11(1).
Sul collegamento con musicoterapia e mindfulness:
– Huang ST, Good M, Zauszniewski JA. The effectiveness of music in relieving pain in cancer patients: a randomized controlled trial. Int J Nurs Stud. 2010 Nov;47(11):1354-62. doi: 10.1016/j.ijnurstu.2010.03.008. Epub 2010 Apr 18. PMID: 20403600.
– Burns SJ, Harbuz MS, Hucklebridge F, Bunt L. A pilot study into the therapeutic effects of music therapy at a cancer help center. Altern Ther Health Med. 2001 Jan;7(1):48-56. PMID: 11191042.
– Bartley, T. (2012). Mindfulness- Based Cognitive Therapy for Cancer. West Sussex (UK): Wiley-Blackwell.
– Day, M. A. (2016). The application of mindfulness-based cognitive therapy for chronic pain. In S. J. Eisendrath, S. J. Eisendrath (Eds.), Mindfulness-based cognitive therapy: Innovative applications (pp. 65-74). Cham, Switzerland: Springer International Publishing.
[6] https://www.andreafarioli.com/angolo-etimologico-comprendere/#:~:text=Comprendere%2C%20dal%20latino%3A%20composto%20di,la%20riorganizzazione%20di%20assetti%20precedenti.