L’ASCOLTO: STRUMENTO ESSENZIALE DEL COACH E DELL’ ATTORE
di Chiara Muscato
Il principale strumento che consente ad un Coach di iniziarsi ad una pratica corretta ed efficace è l’Ascolto, che richiede lo sviluppo di capacità che vanno bel al di là del semplice udire.
Questo sostantivo non suonerà di certo nuovo all’attore, che di fatti sin dai primi apprendimenti sull’arte della recitazione ne scopre la complessa e profonda semantica.
L’ascolto per l’attore e per il Coach si definisce come quella capacità di comprendere attraverso i propri sensi e le proprie emozioni il messaggio inviato da un interlocutore. Imparare ad ascoltare è importante sia per l’attore chiamato a rappresentare le forme dell’umanità che per il Coach chiamato ad aiutare il suo coachee a sviluppare il proprio potenziale conoscendo e supportando l’evoluzione del proprio “lessico” interiore.
ASCOLTO ATTIVO E CONTESTUALE, ATTEGGIAMENTO EGOLESS
Nel teatro l’ascolto assume la forma di offerta tanto umile quanto generosa perché per farlo occorre disarmarsi, essere disposti ad abitare lo spazio scenico facendosi profondamente attraversare da ciò che accade, essere in grado di accettare tutto ciò che proviene dalla scena e poi poter agire con verità ed efficacia.
Per riuscirci l’attore si esercita ad essere aperto, breve, pertinente e neutro (anche se c’è un personaggio, anche se ci sono intenzioni prescritte, gli stati emotivi etc… l’attore si esercita fin dalla camminata a farsi “foglio bianco” ed essere pronto a coglier la vita in scena), deve trasformarsi nella domanda potente che aiuterà il pubblico a generare le risposte mettendo in dubbio le proprie convinzioni sul mondo.
Per imparare ad ascoltare occorre mettersi in contatto profondo con se stessi senza esitare nel labirinto dell’ego ma accomodarsi in una ferma, totale presenza in cui il corpo ed i sensi restano attivi. Il resto è semplicemente il teatro.
Al cospetto del coachee si ritrova la medesima occasione di incontro con se stessi e con “l’Altro”; mettersi in ascolto della persona che si ha davanti richiede dunque la capacità di farsi mezzo e conduce alla magia della consapevolezza che nasce in chi ha la possibilità di mettersi davanti uno specchio il più possibile limpido nel quale riflettersi e riflettere su ciò che è, o che pensa di essere, su ciò che desidera o crede di desiderare.
In sintesi l’attore ed il Coach nella relazione sono chiamati a sviluppare empatia, capacità di sentire e accordarsi: solo così potrà svilupparsi un rapporto e una alleanza di cui la fiducia sarà il cardine.
Nel teatro empatizzare non vuol dire però abbandonarsi alla propria emotività congiunta al sentire dell’altro, c’è sempre una parte di sé consapevole che gestisce il piano dei ruoli nella scena: il rapporto con il pubblico, la relazione con il personaggio interpretato dal compagno di scena e il/i compagno/i di scena stessa.
Analogamente, nel Coaching empatizzare, significa usare le proprie emozioni e conoscere quelle dell’altro ma senza mai smettere di sapere qual è il proprio ruolo nel “teatro” di un percorso o di una sessione.
L’IMPORTANZA DI NON GIUDICARE
Abbandonare il giudizio per l’attore e per il Coach è tra le più difficili sfide ma è importante nella pratica del Coaching così come nel teatro perché lo spettatore/coachee possa ascoltarsi e vedersi mediante il Teatro/Coaching, riconoscere le proprie risorse mettersi al centro dell’azione creativa.
Lasciare andare il proprio giudizio impone un’inesauribile pratica su se stessi per affidarsi completamente al Coaching riponendo fiducia sul fatto che il processo e il Coaching saranno efficaci a prescindere dalle azioni che si porranno in atto.
La stessa fiducia occorre riporla nel teatro. Il teatro, infatti funziona sempre, a patto che ci siano Ascolto, Alleanza, Autenticità e Accoglienza.
L’attore che fa anche solo una sola valutazione sul suo lavoro o sul lavoro dei partner mentre è in scena, tradisce il teatro e la sua verità. Nessuna parola e nessun gesto risultano più autentici. Il teatro accade se si ha il coraggio restare nudi e “tacere” sul proprio giudizio; quindi per essere bravi Coach e per essere bravi attori occorre interiorizzare la lezione di Timothy Gallwey che afferma: “Il mio potenziale privo di interferenze darà il migliore risultato di performance”.
DISORIENTAMENTO POSITIVO, FLOW E SILENZIO
Smettere di giudicare significa rinunciare al controllo e determina quello che nel Coaching chiamiamo Il disorientamento positivo di fronte al coachee.
Questo concetto fa pensare proprio alla condizione dell’attore che compie il primo passo sulla scena, lui sa cosa deve fare ma non sa come lo farà. Stare nell’ascolto dell’altro vuol dire lasciarsi disorientare dall’imprevedibilità, essere disposti ad abitare un luogo senza punti di riferimento; muovere passi nella mappa dell’altro è vivere una vertigine, come un sogno lucido: si è presenti e vivi ma non si sa bene dove ci si trovi giacché si è sulla soglia del mondo dell’altro.
Questo disorientamento positivo, questo ascolto presente ed empatico, questa disponibilità a sporgersi nell’abisso dell’altro determina uno stato di grazia che definiamo flow: stare nel flow all’interno del Coaching significa abitare la consistenza fluida del dialogo, è come una penna che scrive senza staccarsi dal foglio, è un’alchimia nel quale Coach e coachee danzano un valzer che avrà un suo preciso ritmo in cui pause e silenzi faranno da contrappunto.
Il silenzio è forse il momento più importante per il coachee.
L’attesa che precede la parola è un momento sacro nel teatro come nel Coaching perché determina un’azione precisa che passa dalla bocca e dal corpo come gesto di pura creatività.
Per lasciare che il coachee possa prendere consapevolezza e che possa attuare al meglio il suo percorso occorre proteggere e supportare la sua creatività, cosa che avverrà appunto grazie al silenzio, all’assenza di giudizio e alle domande potenti.
Per concludere potremmo affermare che lo sviluppo della creatività messa in azione rappresenta l’essenza della pratica del Coaching, del teatro e forse anche in una certa misura della vita.